GraphoMania – Gli ipocriti, nuovo romanzo di Eleonora Mazzoni

Eleonora Mazzoni - GLI IPOCRITIEleonora Mazzoni torna in libreria con il romanzo Gli ipocriti, pubblicato da Chiarelettere. Un romanzo che guarda il mondo degli adulti attraverso gli occhi di un’adolescente, Manu, che si rende conto di quanta ipocrisia ci sia nella sua famiglia e, anche, nella vita stessa. “Non so perché, i miei ridono solo fuori di casa, mai dentro”, si chiede a un certo punto la protagonista della storia ed è una domanda che, con tutte le varianti e sfumature possibili, potrebbe riguardare diverse famiglie.

Gli ipocriti di Eleonora Mazzoni si legge piacevolmente, incuriosisce e fa riflettere sull’ipocrisia che tanto spesso ci circonda e che, chissà, fa anche parte di noi.

Abbiamo rivolto alcune domande a Eleonora Mazzoni (che con Einaudi ha pubblicato Le difettose, messo in scena da Serena Sinigaglia al Festival della Mente di Sarzana nel 2014 e attualmente in tournée nei teatri di tutta Italia, e che ha fatto dono a noi della Graphe.it edizioni di un racconto – Un Natale come tanti altri– che ha inaugurato la collana Natale ieri e oggi e ha curato la prefazione al libro Naturalmente infertile) per scoprire un po’ cosa c’è dietro il suo romanzo Gli ipocriti.

Intervista a Eleonora Mazzoni su “Gli ipocriti”

Gli ipocriti ha uno stile narrativo molto diverso da Le difettose: oltre all’uso di neologismi e di termini tecnici del “movimento” (incuriosiamo chi legge senza dire di più…), si nota una certa urgenza nel voler raccontare una storia (alcuni capitoli sono brevissimi ma completi). Puoi raccontarci qualcosa di questa evoluzione stilistica?
Cerco sempre di far nascere linguaggio e stile dai personaggi che abitano il romanzo. In questo caso la mia protagonista è una ragazzina di quindici anni e mezzo, con i suoi innamoramenti esplosivi e gli improvvisi cambi di umore, le sfide, le lotte, le scoperte, l’inquietudine nel cercare di dar un senso alle cose e un ordine all’esistenza, gli impulsi sessuali e le riflessioni teologiche. Quell’età fragile e potente, che ho tentato di fotografare nel momento del traghettamento verso la vita adulta, aveva bisogno di ritmo, vitalità, sospensioni. Come una bottiglia di spumante, il vetro trattiene un liquido effervescente. Infatti la “voce” del padre cinquantenne, che si trova invece in un momento di resa dei conti, ha un andamento diverso, più riflessivo e malinconico, più ripiegato su di sé.

Ne Le difettose hai raccontato delle difficoltà per diventare madre, nel racconto Un Natale come tanti altri ti soffermi su una maternità avvizzita, ne Gli ipocriti concentri il tuo sguardo sull’essere figli e padre. Ti ci ritrovi in questo filo rosso?
Assolutamente sì. In quello che finora ho scritto è stato punto nevralgico il tema della famiglia e dei rapporti parentali (se ci pensi ne Le difettose, oltre alla ricerca della maternità, era centrale il rapporto di Carla con la madre e la nonna). Credo che ci ritornerò anche in futuro.

È così importante appartenere a qualcuno o a qualcosa?
Far parte di, mettersi insieme, fare gruppo, cercare protezione è un istinto primordiale dell’essere umano. Occorre però capire quanto siamo disposti a barattare della verità di noi, della nostra autonomia e felicità per un po’ di sicurezza. «Ogni individuo, oltre all’esigenza di affermarsi come soggetto, porta con sé la tentazione di fuggire la propria libertà. È un percorso passivo, alienato ma è agevole. L’individuo entra nel gioco di volontà estranee ma evita l’angoscia di un’esistenza autenticamente vissuta». Lo diceva Simone de Beauvoir. Potevo metterlo come esergo del libro. Non l’ho fatto. Ma sarebbe stato perfetto.


Eleonora Mazzoni, Gli ipocritiNel romanzo analizzi i nomi dei personaggi in un gioco di etimologie che introducono, in un certo senso, le persone che poi fanno parte del romanzo. Alla luce del romanzo, ci dici una tua personale etimologia di “ipocriti”?

Quando, tra i tanti titoli che avevo proposto, la casa editrice ha optato Gli ipocriti, che non era nella top ten della mia lista, inizialmente mi sono trovata spiazzata ma poi ho amato quella scelta proprio per la sua etimologia. Ipocrita dal greco significa attore. E l’attore, se è bravo e non un semplice guitto, recita autenticamente la parte che ha sulla scena, che in fondo non è la sua, è qualcosa scritta da un altro, quindi è una menzogna, finendo per immedesimarsi. Così l’ipocrita. Quelli che vogliono sembrare ciò che non sono, in fondo sono pochi. La maggior parte invece crede profondamente di essere quello che non è. L’essere umano non sopporta di vivere con un’immagine ripugnante di se stesso. Allora si autoinganna. Desidera apparire agli altri e a sé migliore di quanto sia, finendo per crederci.

Ne Gli ipocriti, la famiglia “tradizionale” non ci fa certo una bella figura e la vita nasce in una famiglia “alternativa”, diciamo così per non svelare nulla: che ne pensi di tutta la questione gender che sta avvelenando gli animi in questo periodo?
Anch’io ho ricevuto catene apocalittiche di Whatsapp, volte a combattere questa fantomatica teoria dei gender. In realtà il ministero dell’istruzione parla molto semplicemente di educazione alla parità dei sessi, di prevenzione della violenza di genere e di tutte le discriminazioni su base razziale, sessuale, etnico, religioso. Tutto qui. Detto questo, io credo che la società stia rapidamente cambiando. E con essa la percezione della famiglia, dei rapporti parentali, della maternità. Eppure il modello ancora onnipresente in modo oppressivo nell’immaginario di tutti noi, e molto più interiorizzato psichicamente di quanto crediamo, per cui ci sentiamo di continuo in colpa e mai all’altezza, è la famiglia eterosessuale tradizionale. Noi esseri umani tendiamo all’inerzia: reagiamo agli stimoli sempre nello stesso modo. Evitiamo le novità e le aperture con i pregiudizi. Tendiamo al conformismo. Invece, come diceva Montaigne, è “l’abitudine che ci nasconde il vero aspetto delle cose” e quando sentiamo affermare che qualcosa è “contro natura”, spesso facciamo dire alla natura ciò che noi per abitudine crediamo essere naturale. Presto o tardi quel modello unico è destinato a sbriciolarsi. Quella forma sta diventando più liquida, plurale, a tempo determinato, e non sempre come conseguenza di malessere, egoismo sfrenato, eccesso di individualismo o immaturità. È il segno della mutevolezza delle faccende umane, che facciamo fatica ad accettare. Il problema è che l’uomo comune vuole verità assolute e si sente tradito se non ce le ha, non capendo che sono provvisorie, inserite in un processo di incessante evoluzione e precisazione. Come la vita.

Concludo con una domanda che c’è nel tuo libro: “Quanto può durare il ricordo di una persona nei cuori di chi le ha voluto bene?”.
Siamo portati a sperare e a dire “per sempre”. Succede di rado. Truffaut lo diceva in una scena magnifica de L’uomo che amava le donne. Bertrand incontra per caso una donna che ha molto amato in passato e per cui ha molto sofferto e le confessa di averla pensata per anni talmente tanto da dover prendere pillole per dormire e pillole per cominciare la giornata. Ma ora, le dice, “ti penso qualche volta, ma sempre più raramente, è normale”. Dopo di che si dicono addio. E si capisce che forse non si rivedranno mai più. Ho recitato quella scena in uno spettacolo facendo una quarantina di repliche. Tutte le volte quella frase mi metteva i brividi. Pronunciavo quel “qualche volta” e “sempre più raramente” con i brividi. Perché erano veri. Hai presente i bambini? A volte sembrano addirittura crudeli o indifferenti per quanto si adattano con facilità alle situazioni e alle persone che spariscono. È un meccanismo di rimozione che serve per difendersi. Dimentichiamo.

FONTE:http://blog.graphe.it/2015/09/22/eleonora-mazzoni-gli-ipocriti-intervista

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